Perché la montagna può considerarsi terapeutica? Cosa c'è oltre alla vetta?
In montagna attraverso il cammino ci si focalizza sui propri stati d'animo, sulle mutazioni e sui cambiamenti che avvengono dentro sé stessi così come accade nel terreno, nel panorama, nel cielo o nel meteo. Non solo ma la montagna con le sue difficoltà ti porta a contatto con emozioni negative che sempre più spesso l'individuo nega a sé stesso e che fatica a riconoscere.
In questo laboratorio "naturale" le forti emozioni, i legami che si creano e le interazioni che la montagna fa emergere permettono all'individuo di sperimentarsi con un sé stesso che inevitabilmente, posto di fronte a certe situazioni, non può essere più lo stesso. In montagna si esaltano i propri limiti così come le proprie risorse e si riattivano sistemi motivazionali primitivi che spesso nella realtà di tutti i giorni si tengono sotto traccia. In montagna e con il gruppo si attivano anche processi relazionali alla base dell'essere umano: la necessità di legarsi agli altri, di dipendere dall'Altro, il bisogno di solitudine e di isolamento, l'affidarsi ma al tempo stesso il ritirarsi dall'altro.
e la Psicologia?
Il ruolo del professionista che insieme alla guida alpina accompagnerà il gruppo è prima di tutto di aiutare i processi comunicativi e di relazione tra i componenti al fine di formare il “gruppo” così come fornire momenti di scambio in cui si possano cogliere e leggere tutte le sfumature che una esperienza del genere offre. È compito dunque del professionista introdurre e far vivere una esperienza che stimoli l’interesse e la passione per l’attività proposta attraverso l’utilizzo di strumenti complementari alla guida atti a dare un significato di lettura rispetto a ciò che si stà facendo ed al perché lo si fa con l’obiettivo ultimo di far sì che ciascuno ritorni alla “città” con qualcosa di nuovo e utile per il proprio sé.